Ricordo di Alberto Hachen

Ciao Alberto Amico nostro e mio!

A te che sei andato avanti: buon viaggio!

Non vorrei qui intrecciare le tue lodi e gli elogi che ti meriti, separatamente dalle debolezze dell’uomo e dell’Amico, ma vorrei che lodi, elogi, debolezze e ricordi scaturissero dai racconti di alcuni di noi che ti sono stati e tuttora ti sono Amici veri nonché sinceri custodi di memoria e di affetti che hanno reso il tuo passaggio su questa terra, particolarmennte ricco di esperienze, di relazioni, di stima e d’affetto. Alberto, su una base di non comune educazione, aveva la particolare capacità di instaurare ed esaltare – presso ciascuno di noi – le nostre migliori e più inconcilibili sintonie di interessi, affetti e stima che si possano immaginare. E ciò anche con amici di diverso ed opposto pensiero ed opinioni! Per questo ciascuno di noi può offrire ed offrirà ai lettori di queste righe, una sfaccettatura della complessa personalità di Alberto che ai più è sicuramente sfuggita, ma che costituisce la vera eredità d’affetti che noi portiamo e porteremo dentro! La nostra comune amicizia con Alberto data da anni, anni che nel loro scorrere ci hanno regalato così tanti fatti, accadimenti ed eventi che ricordarli tutti sarebbe impossibile. Da una gita e volo in mongolfiera, da trasferte per il tiro nel quale eccelleva, dalla disponibilità ad accompagnare e riportare a casa – lui che si era astenuto dalle libagioni – Amici dopo epiche serate di omeriche bevute ed ancora serate e notti di buone chiacchiere e memorabili libagioni a Seelisberg, a Sion, a Brunnen, al Murten, a Gruyères solo per ricordarne alcuni ed ancor  luoghi e alberghi, ove i gestori qualche volta ci hanno persino lasciato le chiavi e le istruzioni per chiudere e spengere le luci. Schützenabend, Berner platte, Raclette, Fondue e splendide serate sorseggiando Abricottine all’ombra di “une petite robe noire”3 a Sion!

E così, come da una foschia avvolgente e soffice riaffiora un’ombra, un ricordo, un particolare, Fabio ci riporta al …. principio di una calda estate ormai trascorsa da diversi anni, quando il vino nell’armadietto dei birillisti del lunedì, stava terminando. In quel particolare momento, l’Alberto arriva con la sua auto piena di cassette di quel vinello bianco leggero e frizzantino che eravamo soliti bere per cena. Le bottiglie avevano un tappo a corona sotto al quale si celava un sigillo di plastica che saltava via col botto non appena veniva rimosso. Non avevano l’etichetta, era un ‘vino del contadino’ di pronta beva. Così chiesi ad Alberto che vino fosse. Mi rispose col candore della più assoluta e condivisa gioia che era il “vino della mia tata”. “Come, il vino della tata?”, feci io. Alberto allora mi spiegò che la famiglia della sua tata, quella di quando era infante, aveva dei vigneti e faceva il vino che era appunto quello che stavamo bevendo. All’epoca Alberto aveva passato i sessanta eppure era da sempre in contatto ed amicizia con la sua tata. Era fatto così, l’amicizia con Alberto era una di quelle cose sulle quali potevi contare.

Ma oltre al cuore ecco l’avventura così tanto cara a noi, quanto ad Alberto: ed è ancora Fabio che ricorda e ci fa rivivere l’Alberto degli entusiasmi mai sopiti. Fu così che, alcune sere dopo, di punto in bianco Alberto mi chiese se fossi libero nella settimana di Ferragosto. “Sai – mi disse – avrei bisogno del tuo aiuto, tu che per mestiere ti occupi di logistica. Infatti – proseguì – al porto di Genova dovrei sdoganare una mia masserizia che arriva dagli Stati Uniti che poi dovrei esportare in Svizzera, lo spedizioniere ha già predisposto i documenti, ma un inconveniente potrebbe sempre verificarsi”.  Come suo costume mi spiegò vagamente i dettagli, il tipo di merce da importare e così via come se io sapessi già tutto. Fu così che dopo un attimo di esitazione decisi di condividere l’avventura. Perché di avventura si trattava! Infatti con Alberto ed un altro carissimo comune amico, subito dopo Ferragosto con le autostrade deserte, raggiungemmo il molo del porto di Genova dove all’interno di un container c’era appunto la masserizia che Alberto guardava con occhi gioiosi. Era stata riverniciata di color sabbia del deserto e modificata in modo che potesse circolare su strada. Ne aveva probabilmente viste di tutti i colori nelle sue vite precedenti, ma per metterla su una strada “civile”, Alberto aveva studiato tutti i dettagli. Con due taniche già pronte fece il pieno di gasolio al gigantesco fuoristrada Hummer svenduto al termine di chissà quale operazione in giro per il mondo. Comperato come residuato e rimasto in America nella proprietà di Alberto per un paio di anni era diventato ufficialmente una masserizia da traslocare. Terminate così le formalità doganali in porto e con il mezzo ancora targato Florida, ci mettiamo in autostrada, con la sola assicurazione marittima. “E’ una polizza all risks!” disse convinto Alberto. All’interno del mezzo il rumore era assordante e la temperatura, con lo scarico che attraversava l’abitacolo, paragonabile a quella di un altoforno. Fermandoci, tra la curiosità dei rari avventori, si fa il pieno ad ogni Autogrill disponibile sperando che basti per arrivare a quello successivo. Con un po’ di fortuna arrivammo senza essere fermati dalla stradale al confine con la Svizzera. Sulla mia auto precedo l’Hummer pronto a recuperare gli amici nel caso in cui le cose in dogana non dovessero andare per il verso giusto. Passo dal valico turistico mentre Alberto e l’amico a bordo della masserizia passano dalla dogana merci. Assisto invidioso di non essere con loro. Vengono fermati dal finanziere italiano che, dubitando della documentazione esibita, chiama il Comandante. Questi dopo una seconda accurata verifica dei documenti guarda il mezzo ammirato e si informa sulla destinazione finale del viaggio. “Andiamo in Svizzera, sto facendo un trasloco dagli Stati Uniti”, dichiara candidamente Alberto senza alcuna esitazione. Il Comandante sorride sornione, in un attimo ha capito tutto. La passione di Alberto, l’amicizia, l’avventura e tutti gli altri ingredienti di questa storia sono lì con Alberto, l’amico, l’Hummer ed il Comandante che dice semplicemente “E’ una bellissima masserizia e voi avete del fegato a presentarvi così, buon viaggio!”. Una volta in Svizzera inizia la storia per mettere formalmente in regola l’ingombrante, costosa e ingestibile masserizia. Anche questa sarà realizzata con gli stessi ingredienti, ma è appunto un’altra storia.

Ed ecco un altro ricordo, un’altra memoria che si affaccia sul proscenio di questa parte della nostra vita in comune con quella di Alberto. E’ l’amico Luca che si racconta: Caro Alberto, riflettevo: non fosse stato per te, per quell’aperitivo preso insieme da Peck tanti anni fa non sarei mai stato coinvolto nelle molte vicende della comunità svizzera di Milano. Non sarei diventato Tiratore, non sarei entrato nella Società Svizzera, non sarei diventato Presidente della Scuola Svizzera e mio figlio Ernesto non avrebbe iniziato a frequentare lo stand di Rovagina sotto la tua affettuosa ed esperta guida. Quanti sabati abbiamo passato insieme concedendoci, dopo il tiro, qualche bicchiere, un po’ di pancetta e molta allegria. Ma oltre a questo di te, così lontano da me per idee politiche, ho sempre apprezzato l’intelligenza, la cultura, il non essere conformista e la libertà di quello che definirei il tuo rigoroso pensiero laterale. Oltre naturalmente a una profonda amicizia basata anche sul reciproco rispetto delle nostre differenze di partenza (sebbene, credo, non di arrivo). Dirti che mi mancherai è poco. Ma ti voglio ricordare a quella bellissima cena in piazza a Sion dove una affascinante cameriera fasciata in une petite robe noire serviva Abricotine, qualcuno confondeva un faro sulla montagna con Venere e l’Ernesto divertito dai nostri discorsi rideva allegro come solo un ragazzino può fare. Devo ringraziarti di tante cose. Ma direi, soprattutto, di essermi stato amico. Adesso, finalmente, ho le lacrime agli occhi.

Ed eccomi  qua anch’io a ricordare di una gita a Gruyères. Partiti dal Ticino all’alba, dopo aver seguito le indicazioni di Alberto che quale navigatore mi indicava di volta in volta l’incrocio ove svoltare, la deviazione da imboccare o lo svincolo da evitare alle 12 e 45 giungiamo finalmente alla meta. Infatti per giungere nel piccolo Borgo del Canton Friburgo, di Cantoni ne abbiamo visitati almeno cinque o sei. E dunque parcheggiata la vettura, ci siamo incamminati per la ripida piazza verso il restaurant che Alberto conosceva e che per tutto il viaggio ci aveva tanto decantato. Ci accomodiamo ed alla giovane cameriera ordiniamo fondue speciale ed abbondante per tutti con riserva di indicarle in seguito il dessert. Spazzoliamo è proprio il caso di dirlo, non ricordo quanti cestini di pane, patate e cetriolini accompagnando il tutto con fiumi di birra e di vin bianco. Pasciuti, ma non sazi, seguendo le indicazioni del nostro anfitrione Alberto, all’impassibile cameriera ordiamo un primo giro di fragole, mirtilli e lamponi con doppia panna. Al termine del quale, alla questa volta meravigliata cameriera, ordiniamo un secondo giro. Al che dalla cucina si affaccia e subito si ritrae, anche un’anziana donna che dà l’idea di esser la proprietaria. Ancora buone chiacchiere, birra, caffè e poi arriva il momento dell’addition. Unanimi gli amici (e che amici!), ammiccando alla anziana signora che si era affacciata, indicano ed incaricano per l’incombente il sottoscritto che raccolte le residue forze, si reca verso la cassa ove non trova nessuno. Mi metto in cerca ed entro nella cucina ove trovo l’anziana signora, che, complice birra, vino e doppia panna, chiamo – non ricordo bene – “maman ou madame”. Per liberare la Signora dall’incredulo sguardo, parto con un piccolo elogio sull’ottimo pranzo, sulla buona compagnia, sul perfetto servizio ed altre piccole e grandi cose che si dicono in questi casi. Sta di fatto che Maman mi prende sotto braccio e dopo avermi fatto sfiorare la cassa senza dirmi nulla, mi conduce al tavolo dei ben pasciuti amici. Complice il pranzo, le libagioni, il rigido francese friburghese, il tempo trascorso in cucina in colloquio con Madame deve esser parso agli amici  eccessivo per la sola richiesta del conto e dunque al mio giungere al tavolo al braccio di Maman, non solo gli sguardi, ma tutto il loro atteggiamento è di evidente incredulità e meraviglia, ancor più accentuata dal fatto che alla domanda rivoltami con gli sguardi dai commensali, ho risposto che  “pur richiestole  (il conto) non mi aveva  ancora fatto nulla, ma che prima voleva vedere con chi ero venuto!” Da allora e sino ad oggi gli amici ed Alberto che in quel locale era stato più volte, mi hanno sempre guardato con quel misto di incredulità e meraviglia che ogni volta mi riporta a quel giorno e a quel momento che tanto ricorda e affida l’accaduto all’epopea di “amici miei”!

E’ così Alberto caro, che ciò ci hai lasciato e che costituisce la tua eredità d’affetti, ci accompagnerà sino alla prossima “raclette, fondue, schützenabend o doppia panna” !

Perché son certo che un giorno in qualche luogo, sul far della sera – Alberto caro –  ci ritroveremo ancora tutti noi “lunedisti” del tempo che fu, a bere quel vino della tua tata, a parlare dei più vari argomenti sul da farsi o sul fatto, di Gruyères o di un’altra taverna, da ghiottoni o da raffinati filosofi mai banali, per gioire ancora assieme per esser stati quelli di ieri e divenuti quelli che siamo oggi, per esserci conosciuti ed aver percorso parte del nostro cammino assieme.

Buon viaggio Alberto caro perché davvero solo quest’armonia vince di mille secoli il silenzio!4

Niccolò G. Ciseri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *